La tendenza alla frammentazione nella destra radicale è ormai un dato consolidato, in particolare dopo la fallimentare esperienza dell’Msi-Fiamma tricolore di Pino Rauti, come contenitore possibile di tutto il neofascismo, all’inizio del 1995, contestualmente alla nascita di Alleanza nazionale. Lo spazio di una breve stagione presto naufragata in furibondi litigi, espulsioni e scissioni. Anche a Milano.
Nel capoluogo lombardo sono due le aree di riferimento: da un lato, Forza nuova con un patto d’alleanza con Azione sociale, il Fronte sociale nazionale e il Movimento idea sociale-lista Rauti, dall’altro, la Fiamma tricolore.
Forza nuova, non più di un centinaio di militanti e altrettanti simpatizzanti, può contare in città su una sede in piazza Aspromonte, il cosiddetto “Presidio”, con tanto di negozio di oggettistica annesso e, più di recente, un pub all’interno. Il tentativo da anni è quello di dar vita ad un luogo di aggregazione giovanile. Capo indiscusso Duilio Canu, ex fondatore e leader di Azione skinhead, organizzazione sciolta d’autorità nel 1993 per istigazione all’odio razziale. Con lui anche il vecchio Sergio Gozzoli, a 14 anni nella Rsi, e Don Giulio Tam, prete fascista ordinato a suo tempo dallo scismatico monsignor Lefebvre. Per Don Tam “la tonaca è semplicemente un camicia nera più lunga”. Sua anche la definizione di se stesso come “crociato in lotta contro la decadenza, l’invasione islamica e le trame dei perfidi giudei”.
Azione sociale, l’ultima creatura di Alessandra Mussolini, è invece guidata da Roberto Giacomelli, “maestro” di arti marziali in una nota palestra, la Bulldog’s Gym, situata in una traversa di viale Monza. Poche decine di elementi. Con loro, comunque, candidato alle ultime elezioni politiche, anche Lino Guaglianone, ex terrorista dei Nar (Nuclei armati rivoluzionari), ora ricco commercialista e imprenditore, proprietario della palestra Doria in via Mascagni, una figura importante di raccordo fra la destra radicale e gli “istituzionalizzati” aennini.
Il Fronte sociale nazionale, venti militanti in tutto, dal canto suo, non si è ancora ripreso dalla pesantissima vicenda dell’assassinio di Alessandro Alvarez, un giovane neofascista cresciuto nell’organizzazione, freddato con tre colpi di pistola a Cologno nel marzo del 2000, sullo sfondo di non mai chiariti traffici con la malavita organizzata. Si parlò a lungo di un borsone, mai ritrovato, pieno di pistole e fucili. Al processo gli avvocati di parte civile sostennero, senza peli sulla lingua, che Alvarez “era venuto a conoscenza di qualcosa che non doveva sapere”. Due mesi dopo, anche un altro suo amico, Francesco Durante, fu eliminato con un colpo alla nuca. Il suo cadavere fu ritrovato incaprettato nel bagagliaio di un’automobile semicarbonizzata, sotto il muro di cinta del Beccaria.
Praticamente inesistenti, infine, i fedelissimi dell’ex capo di Ordine nuovo Pino Rauti, appena una decina.
In forte ascesa, invece, sull’altro versante, la Fiamma tricolore, solo un centinaio di iscritti, ma con forti intrecci ormai consolidati con alcuni gruppi giovanili legati al circuito Hammerskins. Da qualche tempo questa formazione sta tentando di importare anche a Milano l’esperienza romana delle Onc (Occupazioni non conformi) e delle Osa (Occupazioni a scopo abitativo, ovviamente “solo per italiani”), lanciando a livello locale temi come il “mutuo sociale”. L’immaginario utilizzato è di tipo movimentista, fortemente aggressivo e violento. Forti i legami con alcune frange ultras delle curve, sia dell’Inter che del Milan, di cui parleremo.
In mezzo, per così dire, gli aderenti al Movimento nazionalpopolare di Tomaso Staiti di Cuddia, un piccolo gruppo con buone risorse economiche situato presso la sede degli ex repubblichini dell’Unione nazionale combattenti in via Rivoli; il Movimento fascismo e libertà, una decina di personaggi folkloristici, ormai ridotto ai minimi termini dopo due micro-scissioni di tre-quattro elementi che hanno dato vita rispettivamente a Nuovo ordine nazionale e Fasci italiani del lavoro, e, per chiudere, il Movimento dei socialisti nazionali, a cui ultimamente era approdato anche Walter Maggi, nell’orbita del quotidiano Rinascita Nazionale e dell’omonimo gruppo (animati da Ugo Gaudenzi, inizialmente utilizzando lo stesso stemma delle Ss italiane), e della rivista Uomo Libero di Piero Sella, conosciuta per le sue tesi razziste e antisemite. Non più di trenta, comunque, i militanti di questo raggruppamento, su posizioni marcatamente antimperialiste e filo-islamiche.
A fare da ponte tra queste sigle e Alleanza nazionale, la cosiddetta “Destra per Milano” di Roberto Jonghi Lavarini, ancora una volta nella lista di An alle ultime elezioni comunali. Jonghi Lavarini, aderente alla “Fondazione internazionale generale Augusto Pinochet”, per anni collaboratore dell’agenzia investigativa Tom Ponzi, per la quale si è occupato soprattutto di “infedeltà e devianze”, da anni si vanta di intrattenere relazioni con i neonazisti tedeschi dell’Npd.
A tenere i contatti fra tutte le diverse famiglie dell'estrema destra, il Comitato per Sergio Ramelli, alias “I camerati”, dicitura con cui solitamente si firmano i manifesti. Una sorta di coordinamento milanese, ora presieduto, dopo la morte di Nico Azzi, da Luca Cassani detto “Kassa”, inquisito nel 1997 per l’accoltellamento di un consigliere comunale del Prc, poi successivamente prosciolto.
A questa struttura di collegamento continuano a dare il proprio contributo anche altre storiche figure dell’estremismo nero: Remo Casagrande, notissimo picchiatore degli anni Settanta, Cesare Ferri, accusato e poi assolto per la strage di piazza della Loggia a Brescia, e Maurizio Murelli, condannato in concorso con Vittorio Loi per aver ucciso nel 1973 un poliziotto a Milano, colpito al petto dal lancio di una bomba a mano durante i disordini seguiti a una manifestazione dell’Msi.
Nico Azzi, per la cronaca, apparteneva al gruppo de La Fenice, la sezione milanese di Ordine nuovo. Rimase ferito dall’esplosione del detonatore, il 7 aprile 1973, nella toilette del treno Torino-Roma mentre tentava di innescare un ordigno a tempo, composto da due saponette di tritolo da mezzo chilo l’una, che avrebbe certamente fatto una strage. Le modalità di svolgimento dei suoi funerali, nel gennaio scorso, suscitarono più di qualche protesta, soprattutto per il luogo dove fu officiato il rito funebre: la basilica di Sant’Ambrogio, dedicata al patrono della città, dove tra fasci littori e croci celtiche Nico Azzi fu accompagnato nel suo ultimo viaggio, presente il vicepresidente di Alleanza nazionale Ignazio La Russa, da due schiere di camerati intenti a salutarlo romanamente.
Da questo crogiuolo, di storie e percorsi, ha preso corpo anche il nuovo progetto di “Cuore nero”.
Estratto da "Dove batte il cuore nero", comparso su Diario, luglio 2007 a firma Saverio Ferrari