Roma, in piazza il popolo No Vat

In 15mila sfilano a Roma. Abbandonati da destra e sinistra, senza chiesa e senza partito, chiedono meno ingerenze vaticane.

Appena si arriva in piazza, si capisce subito che il No vat è ed ha un’altra storia. Nessuna bandiera politica, poche sigle di organizzazioni istituzionali, praticamente assente quel mondo dell’associazionismo conosciuto con le mobilitazioni no-war.
Ad attraversare le vie del centro della capitale è un altro «popolo»: quello dei movimenti lgbtq (lesbo, gay, bisex, trans e queer), dei collettivi femministi e dei coordinamenti anticlericali.
Un mondo che per il momento non sembra avere rappresentanze politiche ma che continua a svilupparsi in maniera esponenziale. «Siamo sempre di più – afferma una delle organizzatrici, Graziella Bertozzo – perché aumentano i soggetti sotto attacco della Chiesa». E in effetti sfilano molte persone «comuni», che sentono nel loro quotidiano le ingerenze del Vaticano. In particolare nel dibattito sulla legislazione riguardante unioni gay, aborto e fecondazione assistita, che «impediscono – dicono in molte – alle donne di decidere autonomamente del proprio corpo». Sotto accusa anche il potere economico della Chiesa: «Il governo Prodi – urla con sdegno una ragazza – ha confermato l’esenzione dell’Ici sui patrimoni immobiliari ecclesiastici introdotta da Berlusconi».

Alla fine saranno 15 mila. «L’integralista papa Ratzinger sta rafforzando – sostengono dal palco finale del corteo – l’alleanza clerico-fascista con l’obiettivo di affermare un modello di società chiuso e reazionario patriarcale, omofobico e razzista». La determinata contestazione avviene in modo colorato, rumoroso, con la presenza di bande musicali e giocolieri. In qualche spezzone si finisce nel folklore con cappelli stravaganti e travestimenti da suora: «L’unica cosa da fare è prenderli in giro», scherza uno dei mascherati. Poi diventa serio: «In quanto gay e ateo soffro un Vaticano che detta l’agenda politica italiana e che ha un potere economico da multinazionale».

Dietro il camioncino d’apertura lo spezzone lesbo-femminista: striscione rosa con su scritto in bianco «Autodeterminazione». Sono il soggetto più colpito in questo frangente: «Vogliono le donne – denunciano – come mogli e madri schiave all’interno della famiglia tradizionale». Un altro cartello denuncia il controllo sul sesso femminile: «Fuori i preti dalle nostre mutande». In piazza anche i collettivi universitari della Sapienza, che rivendicano l’opposizione alla visita del Santo Padre: «Non potevamo accettare che il Papa, in quanto esponente di principi dogmatici reazionari, si esprimesse in un luogo che dovrebbe essere di libero scambio di saperi».
A manifestare ci sono associazioni che 365 giorni l’anno si battono contro la cultura religiosa che condiziona tutte le sfere della società. E’ il caso dell’Unione degli atei agnostici e razionalisti: «In un paese civile questo gruppo neanche dovrebbe esistere – spiega il coordinatore Francesco Paoletti – Invece con le istituzioni confessionalizzate dobbiamo lottare per difendere i nostri diritti». Ma il No Vat 2008 parla anche straniero: ci sono delegazioni della Rete europea lgbtq che ha organizzato una tre giorni al centro sociale Forte Prenestino. Eric, spagnolo, sorregge uno degli striscioni portati per l’occasione: «Ratzi sabemos todos que eres marikita» («Sappiamo tutti che sei omosessuale», ndr).

Le uniche organizzazioni politiche presenti sono Sinistra Critica e Cobas, che vedono nel popolo No vat «un elemento innovativo». «Oggi un Montezemolo conta molto meno del Papa. Il potere politico – afferma Piero Bernocchi – necessita del supporto religioso. E questo popolo dà fastidio ai partiti. Tutti». Le uniche due deputate pronte a smentire con la loro presenza queste dichiarazioni sono del Prc: Elettra Deiana e Titti De Simone. «I temi della manifestazione – dice la deputata siciliana – devono essere elemento costitutivo della sinistra arcobaleno, altrimenti nasce senz’anima. Ci vuole una nuova cultura politica, capace di ricreare un rapporto con questo popolo».

di Giacomo Russo Spena, Il Manifesto – 10 febbraio 2007

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