La lobby cattolica nella sanita’ brasiliana

La pressione di settori cattolici, dalla Cnbb alla Pastorale per l’infanzia, ha portato, alla XIII Conferenza nazionale sulla salute, conclusasi in Brasilia il 18 novembre, a respingere una mozione sull’interruzione volontaria di gravidanza. Ciò riporta alla memoria gli sforzi, per anni, di settori cattolici, guidati dal deputato e prete Arruda Câmara, della Democrazia Cristiana, contro il divorzio, per quanto questo sia stato successivamente approvato. In passato, settori ufficiali della Chiesa avevano promosso campagne contro la secolarizzazione dei cimiteri, per l’obbligo dei cappellani nelle Forze Armate e per l’insegnamento religioso obbligatorio, in dibattito serrato con Anísio Teixeira e altri difensori della Escola Nova (movimento di rinnovamento dell’insegna-mento di cui Teixeira fu una delle principali figure, ndt). Era sempre la difficoltà di accettare una società pluralista e democratica, in cui i principi di una religione non possono prevalere sull’insieme della società, con altri credo e senza credo alcuno. Si tratta di una posizione intollerante, che og-gi incontriamo in settori fondamentalisti dell’Islam degli Ayatollah, degli integralisti cattolici e dell’entourage del presidente Bush. Come laico cattolico, voglio esprimere qui il mio dissenso nei confronti di settori della mia stessa Chiesa.
C’è molta confusione nel cammino. Si confonde la depenalizzazione dell’aborto con la legalizzazione dello stesso. L’Uruguay, che ha una forte tradizione laica, ha appena approvato la depenalizzazione. Ma già da anni l’Italia, considerata un Paese cattolico, e malgrado la pressione del Vaticano, ha legalizzato l’aborto, così come ha fatto più recentemente il Portogallo.

Il ministro della Salute ha proposto un ampio dibattito sul tema, considerandolo a ragione un problema di salute pubblica, oltre alle sue implicazioni etiche. Opporsi a questo libero dibattito è un atteggiamento autoritario o ipocrita, come l’ha definito un funzionario del Ministero della Salute. Siamo in democrazia e ogni discussione è necessaria per creare un’opinione pubblica e rafforzare la partecipazione della cittadinanza.

Trascrivo parte della mozione respinta: “Assicurare i diritti sessuali e riproduttivi, rispettare l’autonomia delle donne sul proprio corpo, riconoscere l’aborto come problema di salute pubblica e discutere la sua depenalizzazione  attraverso un progetto di legge” (Proposta 37 della prima parte). Si noti come il tema per discutere e preparare un futuro progetto di legge si riferisca alla depenalizzazione dell’aborto e non alla sua legalizzazione. Resta, inoltre, un problema scottante: come punire una donna passata per la penosa, dolorosa, traumatica e rischiosa decisione?

Il titolo principale di un giornale del 19 novembre recita: “Aborto: Chiesa affonda proposta del governo”. Una questione che ci porta al punto successivo. Possiamo dire semplicemente Chiesa, popolo di Dio nella definizione del Vaticano II, nella sua dimensione ecclesiale, o dovremmo parlare di settori ecclesiastici dominanti e ufficiali? Non dimentichiamo che la posizione di Gesù non è mai stata quella di applicare leggi punitive, ma di rivolgere, pieno di misericordia e di compassione, domande provocatorie di fronte alla donna adultera che stava per essere lapidata o, scandalizzando gli stessi discepoli, di dialogare con la samaritana, che non seguiva la religione dei giudei e che aveva avuto sette uomini nella sua vita. Le leggi restavano sul conto dei farisei formalisti.

Questo tema diventa più complesso, allora, se lo analizziamo all’interno della stessa Chiesa cattolica, in tutte le sue dimensioni. Ho parlato innumerevoli volte di temi congelati al suo interno che bisognerebbe riaprire al dibattito, come il celibato obbligatorio, l’ordinazione di uomini sposati e di donne – per permettere l’accesso all’eucarestia a un numero più ampio di fedeli – e i temi della sessualità e della riproduzione. Un vescovo francese, Jacques Gaillot, che ha affrontato questi temi è stato allontanato dalla sua diocesi di Évreux e ha creato la diocesi virtuale di Partenia. Il teologo spagnolo Juan Masiá, per la stessa ragione, è stato costretto al “silenzio ossequioso”, come Leonardo Boff e Ivone Gebara alcuni anni prima. Si è trasferito in Giappone e un suo libro è stato pubblicato in portoghese (Encontros de bioética, Lodola, 2007). Il dibattito è in corso. Ma sappiamo che, prima dei cambiamenti, coloro che li temono si chiudono in un rigido rifiuto, che non nasconde una posizione difensiva, storicamente perdente, contro l’emergere del nuovo. Già nel XIX secolo, un grande teologo, convertito al cattolicesimo, il futuro card. J. H. Newman, parlò dello sviluppo della dottrina, che non è un’eredità immutabile, ma che si dispiega e si chiarisce un po’ alla volta. Inoltre, lo stesso teologo, subito dopo il Concilio Vaticano I, quando venne definita l’infallibilità papale, isolata da una visione di Chiesa più ampia (che il Vaticano II avrebbe completato nel documento De Ecclesia), scrisse ad un amico angosciato: “Pio (IX) non è l’ultimo dei papi… Dobbiamo avere pazienza e fiducia, un nuovo papa e un nuovo concilio perfezioneranno l’opera” (Lettera del 3/4/1871). Potremmo applicare la stessa osservazione ai due ultimi pontificati.

C’è spesso, negli ambienti conservatori, una grande ignoranza storica. Anni fa, con il Syllabus, Pio IX condannò la democrazia e la libertà di stampa. Questo documento non venne revocato, ma seppellito in uno scomodo oblio. Come accaduto prima all’Inquisizione, con la tortura e il rogo degli eretici, e anche alla condanna di Galileo (la riabilitazione giunse con enorme ritardo). La posizione violentemente anti-moderna di Pio X, all’inizio del secolo scorso, venne sbloccata dal suo successore, Benedetto XV. Papa Pio XII avrebbe fatto l’elogio della democrazia nei Messaggi di Natale, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, e il Vaticano II (1962-1965) sarebbe stato un grande dialogo con la modernità. Basti vedere la Gaudium et spes. La coscienza storica cammina e con essa anche la coscienza ecclesiale. L’appro-vazione della pena di morte e la nozione della guerra giusta vanno scomparendo dalla dottrina e dai discorsi dei papi. Si pensi alla ferma posizione di Giovanni Paolo II di fronte alla guerra in Iraq, in contrasto con quella di Bush, costretto a ricorrere alla menzogna e alla frode (e anche di settori della curia romana che hanno voluto attenuare, con dichiarazioni ambigue, la posizione dello stesso papa).

La stessa mancanza di sensibilità storica può essere applicata a temi come l’interruzione volontaria della gravidanza e l’uso, nelle ricerche, di cellule staminali. In questi casi, è necessario distinguere tra embrione e feto come fasi differenziate di un processo. Per S. Agostino nel IV secolo e per Tommaso d’Aquino nel XIII secolo, l’entrata dell’anima nell’essere in gestazione si verificherebbe alcune settimane dopo il concepimento. A partire dal 1869, però, la posizione ufficiale della Chiesa è stata quella di difendere con vigore il diritto alla vita “dal concepimento fino alla morte”. Oggi si ammette come criterio per definire la morte quello della morte cerebrale, per quanto il cuore possa continuare a battere, senza il quale non ci sarebbero trapianti di organi, a cui la Chiesa non si oppone. Se questo avviene alla fine della catena, perché non rivedere, con criteri analoghi, l’inizio della stessa? Quando ha origine la persona umana nel processo di gestazione? Nel concepimento iniziale e nella creazione della corteccia cerebrale? Questioni che restano aperte in ambienti teologici (Küng, Forcano, Louise Melançon, tra gli altri). Tema da dibattere con lucidità e tranquillità in una Chiesa che dovrebbe rivedersi permanentemente di fronte a tante sfide sempre rinnovate. Esiste attualmente una schizofrenia tra prescrizioni ufficiali sulla riproduzione umana (Casti Connubii, Pio IX, 1930; Humanae Vitae, Paolo VI, 1968) e la prassi dei cattolici (per esempio nel caso dei preservativi). In Africa, religiosi e religiose distribuiscono condom di fronte alla terribile endemia di Aids.

Occorre poter partecipare ad un dibattito libero e coraggioso. Nella Chiesa, molti teologi hanno difficoltà a prendervi parte, per paura di perdere l’autorizzazione ad insegnare in ambito cattolico (in termini tecnici, a partire da un’autorità che inibisce la riflessione libera e responsabile, ciò si chiama in latino missio canonica). Tale decisione si è abbattuta su Hans Küng, che è poi passato ad insegnare a Tubinga teologia ecumenica.

Difendo ogni volta che posso quello che fa il governo e applaudo calorosamente la condotta del ministro Temporão. Ma ho difficoltà a capire, al contrario, l’ultima nomina governativa per il Supremo Tribunale Federale di Carlos Alberto Direito, che, prima di insediarsi, si è dichiarato a priori contrario all’aborto e all’uso di cellule staminali. Il presidente Bush, nella stessa direzione, nomina ministri conservatori per il Supremo Tribunale americano, per tornare indietro nella legislazione su questo campo. Non a caso, noi che abbiamo creato nel 1962 Azione Popolare, traendo ispirazione dal personalismo comunitario di Emmanuel Mounier e optando per un socialismo democratico, trovammo nell’attuale ministro del STF, nella politica studentesca, una posizione opposta e conservatrice.

Torno all’inizio. Mi sento in obbligo di esprimere, come cattolico, il mio malessere per il modo in cui il problema viene affrontato da settori ufficiali della mia Chiesa. Termino con l’introduzione che ho scritto al mio libro del 2004, Do Vaticano II a um novo concílio? Olhar de um cristão leigo sobre a Igreja (Dal Vaticano II a un nuovo concilio? Sguardo di un cristiano laico sulla Chiesa), Lodola, 2004: “Molti decenni di attività ecclesiali come cristiano laico – mezzo secolo! – mi danno il diritto di essere franco, onesto e diretto, cercando di spazzare via un’autocensura tanto comune negli ambienti ecclesiastici prudenti e soggetti a sanzioni autoritarie. … (Questo atteggiamento) vuole essere l’espressione di una fedeltà impaziente o di una ribellione filiale, di chi si sente profondamente impegnato con la Chiesa di Cristo che, divisa, fragile e tante volte incoerente, non smette di essere ‘il Regno in germe’ (de Lubac), ‘la presenza urgente, la presenza importuna di Dio tra noi’.

 di Luiz Alberto Gómez de Souza – 2007 – Adista Documenti 86

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