Il filo rosso di Papa Ratzinger

Nel
secondo concistoro di Benedetto XVI, quello conclusosi ieri, l’età
media dei nuovi ascritti al collegio cardinalizio raggiunge i 69,9 anni
di età. Senza considerare i cinque ottantenni che hanno ricevuto la
berretta, ma non il biglietto d’ingresso per la Cappella Sistina, l’età
media scende a 66,33. Durante la due giorni concistoriale, in rapida
successione, nel corso delle cerimonie celebrate in latino e svolte
nella rigida applicazione delle norme rituali, sull’altare papale si
sono visti croce e candelieri celliniani, la mitria di Pio IX, il
tronetto di Pio XII, il piviale di Paolo VI, una stola ricavata da un
paramento antico, camici e cotte con pizzo e altri reperti di vanità
liturgica.

Quell’impressione intorno al Concistoro
Nelle stesse ore, i cattolici del resto del mondo celebravano la festa
di Cristo Re in più di tremila lingue, non di rado in chiese fatiscenti
o in ambienti catacombali, spesso con arredi improvvisati, cantando e
danzando secondo un mosaico di culture impossibile da catalogare,
facendo ricorso a infiniti stili e strumenti musicali. «È il Concilio,
fratelli», verrebbe da dire a coloro che, approfittando del debutto del
nuovo maestro delle cerimonie pontificie, intorno a questo concistoro
hanno forzatamente fatto circolare l’impressione che solo chi prega in
latino e si veste dal rigattiere, immaginando di seguire le orme della
tradizione cattolica, ama il Papa. Questo intestardirsi a scambiare la
forma con la sostanza, non rischia d’essere l’interpretazione più
ingiusta del ministero di Benedetto XVI? «Segno di unità cattolica»,
come ha definito sia il rito di sabato del «concistoro ordinario
pubblico» sia la successiva concelebrazione di domenica per la
«Cappella papale per la consegna dell’anello», il vescovo di Roma ha
impersonato ancora una volta, nello spazio misterico offertogli dalla
liturgia, l’unico spazio in cui la Chiesa e il suo pastore sono
infallibili, il ruolo di costruttore di ponti.

Il patriarca venuto carico di sofferenze
Emmanuel Delly, l’ottantenne patriarca caldeo sul capo del quale il
Pontefice ha imposto il turbàn porpora della tradizione del suo Paese,
è giunto a Roma accompagnato solo da cinque fedeli. In senso formale,
si è presentato a Roma con la mani vuote, ricco solo della sua storia
umana sacerdotale. Dal punto di vista sostanziale, il carico di
sofferenze, fatto «di lacrime e di sangue», che porta sulle spalle come
pastore della Chiesa irachena è riecheggiato da San Pietro verso il
mondo con l’applauso caloroso che lo ha accolto quando il Papa ha
citato il suo nome. Ed al filo rosso della testimonianza in favore
della pace e dei diritti per tutti, anticipato dal neo prefetto delle
Chiese orientali e ora cardinale Leonardo Sandri con un richiamo ai
cristiani che subiscono «martirio, persecuzione, tribolazione e
scherno», Benedetto XVI ha poi legato le due omelie di sabato e di
domenica.
Saranno poi gli storici, quando avranno accesso alle fonti
diplomatiche, a chiarirci un dubbio. Come mai un amico di Israele come
il mite nunzio Pietro Sambi, un tempo in servizio a Gerusalemme ora
rappresentante pontificio presso la Casa Bianca, famoso per la sua
sagacia politica e diplomatica, ha sbattuto il pugno sul tavolo usando
parole terribili («Le relazioni tra la Chiesa cattolica e lo Stato
d’Israele erano migliori quando non c’erano i rapporti diplomatici. È
sotto gli occhi di tutti quale fiducia si possa accordare alle promesse
d’Israele»), proprio negli stessi giorni in cui Condoleezza Rice stava
stilando la lista dei partecipanti alla prossima conferenza di pace per
il Medio Oriente? È già noto che, dopo un concistoro dove si è pregato
tanto per il Medio Oriente, solo nel pomeriggio di ieri la Santa Sede
ha ufficializzato la sua partecipazione alla Conferenza di Annapolis. I
nomi dei delegati vaticani saranno comunicati oggi. È un caso?

FILIPPO DI GIACOMO – 26/11/2007 – La Stampa

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