ROMA (Reuters) – Il banchiere Roberto Calvi, coinvolto nel crack del
Banco Ambrosiano e trovato impiccato a un ponte di Londra nel 1982 con
in tasca mattoni e denaro, fu ucciso per non aver rispettato impegni
presi con gruppi criminali ma il coinvolgimento dei cinque imputati a
giudizio non è provato e contro di loro ci sono solo prove indiziarie
fornite da testi ormai deceduti, alcuni dei quali uccisi.
Così
la seconda Corte d’assise di Rebibbia, a Roma, presieduta da Lucio
D’Andria, ha motivato la sentenza con la quale lo scorso 6 giugno 2007
ha assolto il finanziere Flavio Carboni, l’ex cassiere della mafia
Pippo Calò, l’ex boss della banda della Magliana Ernesto Diotallevi e
Silvano Vittor, che aveva accompagnato Calvi a Londra per conto di
Carboni.
Calvi, dicono le motivazioni "venne meno a impegni
presi con gruppi criminali che gli avevano affidato le loro somme,
rendendosi responsabile di investimenti sbagliati e gravi ammanchi: è
ragionevole pensare questa abbia costituito valido motivo per far
decidere ai vertici dell’organizzazione mafiosa l’eliminazione del
banchiere", si legge nelle motivazioni.
Questa decisione, dicono
i giudici, non mirava a riottenere quello che era stato investito
malamente ma è stata presa per evitare che Calvi rimanendo in vita
potesse continuare ad operare. Secondo i giudici, è più credibile che
l’uccisione sia stata fatta per dare a Calvi una punizione ed evitare
che rendesse pubblica la sua attività di riciclaggio e rivelasse i suoi
rapporti con persone canale di collegamento con l’organizzazione
criminale.
Secondo la corte le accuse formulate dal pm erano
però solo indiziarie ed erano state formulate grazie a deposizioni di
testi poi deceduti, alcuni uccisi, senza altri elementi di riscontro.
Il pubblico ministero Luca Tescaroli aveva chiesto quattro ergastoli e
l’assoluzione per l’unica donna imputata, l’ex compagna di Carboni
Manuela Kleinzig, richiesta accolta dalla corte con formula piena.
IL CASO
Calvi, soprannominato "banchiere di Dio" per i suoi stretti legami con
il Vaticano, fu trovato impiccato a un’impalcatura sotto il ponte dei
Frati Neri a Londra il 18 giugno 1982, con alcuni mattoni nelle tasche
e 15.000 dollari addosso.
Inizialmente la morte era stata
archiviata come suicidio dalla procura di Milano. Nel 1992, però, la
Cassazione aveva deciso il trasferimento dell’inchiesta dal capoluogo
lombardo a Roma, la cui procura era venuta in possesso di nuovi
elementi per aprire una nuova indagine per omicidio volontario e
premeditato.
Nel 1997 il gip del tribunale di Roma Mario
Almerighi aveva emesso un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa
di omicidio a carico di Calò e Carboni come presunti mandanti del
delitto Calvi.
L’ipotesi dell’accusa era che Calvi fosse stato
ucciso da Cosa Nostra perché impossessatosi dei soldi del piduista
Licio Gelli e dello stesso Calò.
Nel 1998 Otello Lupacchini, il
gip del tribunale di Roma subentrato ad Almerighi, aveva ordinato una
nuova perizia sulle cause della morte di Calvi. Era stata questa
perizia a stabilire che l’ex presidente del banco Ambrosiano non si
suicidò ma fu invece assassinato. Nel settembre del 2003 la polizia
britannica aveva riaperto il caso.
mercoledì, 21 novembre 2007 6.09 – Reuters