Preti e mafia: un sodalizio antico, quello tra la Chiesa e la prima azienda italiana (è Confesercenti a dirlo) che continua tuttora, senza che in Vaticano si muova foglia. Chi tace acconsente?
U' parrino. In dialetto siculo, indica il padrino. Ma anche – e non è un caso – il prete. Non solo. La Chiesa non allude solo alla gerarchia vaticana e ai fedeli. "Chiesa" è anche l'espressione che i picciotti usano per indicare la famiglia mafiosa cui appartengono. Religione e mafia, un sodalizio che si manifesta anche nei rituali di affiliazione, quando per diventare a tutti gli effetti uomini d'onore si recita una formula giurando su un'immaginetta sacra. Non ultima, la famosa "bibbia di Provenzano" con il suo criptico codice, la cui decrittazione ha portato a numerosi recenti arresti.
Di questo legame, si parla in Le sacrestie di Cosa nostra di Vincenzo Ceruso, libro nel quale si illustra il «sistema di alleanze e di giochi di potere interni alla consorteria mafiosa». Alleanze che approfittano proprio delle cerimonie religiose – matrimoni, cresime e battesimi – per stringersi ulteriormente. «Un libro splendido, ben documentato e puntuale. Che vale la pena di leggere», commenta Roberto Puglisi su Rosalio blog, lamentando l'assenza di una pastorale antimafia «che manca oggi nelle parole di questa Chiesa che si concentra sulla famiglia naturale, ma dovrebbe spendere qualche parola pure sulla famiglia criminalmente intesa».
«Cosa nostra usa la religione come collante con la società civile perché i mafiosi non sono degli emarginati – commenta l'autore in questa intervista pubblicata dal settimanale Left-Avvenimenti -. Medico, avvocato, uomo politico, oltre che killer o mandante, in Sicilia il mafioso è il vicino di casa. Ed è anche un cattolico, che tenta di insinuarsi nel tessuto ecclesiale, spesso con successo, a partire dalle confraternite».
«Come diceva Falcone – prosegue Ceruso -, entrare nella mafia equivale a convertirsi a una religione. Mafia e religione hanno la stessa dimensione totalizzante». Cosa fa la Chiesa per scardinare questi meccanismi? Pressoché nulla. In seguito a una sanguinosa strage, nel 1963 «la Santa Sede – ricorda Ceruso – richiamò il cardinale Ruffini, allora arcivescovo di Palermo, perché intervenisse a "dissociare la mentalità della cosiddetta mafia da quella religiosa". Il problema oggi è quasi lo stesso. Ci sono segnali di speranza dalla società civile e dalla Chiesa stessa, ma rimane quanto detto dal giudice Roberto Scarpinato: senza una zona grigia nella società la mafia sarebbe già stata sconfitta da tempo».
«Se un capomafia fa da padrino di battesimo, da testimone o si sposa – conclude l'autore del libro -, istituisce un'alleanza militare e giuridica con un’altra famiglia. Si dovrebbe indagare meglio su come, attraverso i sacramenti, cambiano per esempio i traffici di droga. Secondo me ciò non è sufficientemente percepito in ambito ecclesiale, perché sfugge la vera dimensione del fenomeno». Su questo silenzio della Chiesa, che nel contempo non perde occasione per esprimersi in materia di etica sessuale, come fosse questa la vera emergenza, molto si può ipotizzare. Certo è che la mafia è un potere forte, fortissimo: la Confesercenti dirama dati allarmanti. Cosa nostra sarebbe infatti la prima azienda italiana, con un fatturato di 90 miliardi l'anno, pari al 7% del Pil. Chi tace – la Chiesa, nella fattispecie – acconsente? Dite la vostra.
25 ottobre 2007 – 09:00 – LiberoBlog