Ancora sull’Opus Dei segreta

Del libro di Ferruccio Pinotti, Opus Dei segreta (Bur 2006), ha già scritto su questo sito Teo Lorini. Ciò che segue non è una recensione, ma uno spoglio degli appunti che ho preso durante la lettura e una trascrizione di alcuni dei passi che mi hanno più colpito. Si tratta naturalmente di una selezione parziale e limitata, data la mole di informazioni contenute nel libro (di cui consiglio caldamente la lettura). Aggiungo soltanto che il lavoro di Pinotti si legge con estrema facilità e – almeno nel mio caso personale – spavento e costernazione.

Nonostante la pubblicità negativa durante il furoreggiare del Codice da Vinci, ad oggi in Italia dell’Opus Dei si è parlato e discusso molto poco, e le rare volte che l’argomento si è affacciato sulle pagine della stampa, si è preferito più che altro limitarsi agli aspetti più superficialmente sensazionalistici: il cilicio (da indossare almeno due ore al giorno), la disciplina (la frusta con cui i membri dell’Opera sono tenuti a flagellarsi settimanalmente) e, al limite, le “tute antimasturbazione”. Eppure, terminando la lettura di Opus Dei segreta, l’impressione è che tali pratiche siano di gran lunga la cosa meno inquietante.

In questi anni, in cui fortissima si fa sentire l’ingerenza della Chiesa negli affari dello Stato, credo sia fondamentale diffondere il più possibile – e in questo l’inchiesta di Pinotti può costituire un ottimo punto di partenza – la conoscenza delle realtà e delle strutture di potere che si muovono all’interno della gerarchia ecclesiastica e nel cuore del cattolicesimo laicale, determinandone gli orientamenti e influendo pesantemente sulla vita sociale e politica di tutti noi.

“Il male viene dall’interno della Chiesa e dai suoi vertici. Nella Chiesa c’è una autentica putredine e a volte sembra che il corpo mistico di Cristo sia un cadavere in maleodorante decomposizione.”
Escrivá de Balaguer, 1972

Il Nostro Amato Leader che è in cielo

Padre Josemaría Escrivá de Balaguer (Barbastro, Spagna, 1902 – Roma 1975). Beatificato nel 1992 e santificato a tempo di record nel 2002.

La sua figura è al centro di un culto della personalità dagli aspetti sconcertanti e vagamente sacrileghi. Dennis Dubro, un ex numerario americano, racconta di un suo direttore spirituale che collezionava episodi e leggende sulla vita del fondatore dell’Opera:
“Mi disse che uno dei più anziani collaboratori di Escrivá… gli aveva confidato questa storia: Escrivá, morto ufficialmente il 26 giugno 1975, era in realtà morto una prima volta il 27 aprile 1954, durante un incidente seguito da coma diabetico; ma che era miracolosamente risorto per completare la fondazione dell’Opus Dei. Questo direttore affermava di aver toccato il corpo risorto di Escrivá”.

Padre Vladimir Feltzmann ha conosciuto bene Escrivá, avendo fatto parte per anni della ristretta cerchia dei suoi collaboratori, prima di uscire dall’Opus Dei nel 1982 con queste parole: “Per quanto nobili e magnanime fossero in origine le idee del fondatore, con il passare del tempo l’Organizzazione venne talmente forgiata dal terrore (…) che non posso continuare a contribuire a essa reclutando nuovi membri”. I ricordi di padre Feltzmann contribuiscono a dare di Escrivá un’immagine sfaccettata, ben diversa dall’agiografia para-stalinista:
“Aveva un temperamento brioso, vivace, cosa che ufficialmente veniva negata. Quando era depresso, ufficialmente si diceva che era stanco. C’erano due personaggi, quello ufficiale e quello vero. Il personaggio autentico era un uomo che ti diceva: ‘Ti prego, aiutami. Sono depresso. Tienimi la mano, tienimi sveglio, non vorrei addormentarmi’. Era molto caldo, molto schietto.
(…) Escrivá di tanto in tanto era depresso; soprattutto nel periodo successivo al Concilio Vaticano II era fortemente depresso. La notte non riusciva a dormire e dormiva di giorno. (…) Io credo che gli mancasse la sincerità, nella misura in cui non voleva accettare il proprio inconscio: gli sembrava sospetto”.

Le sue simpatie franchiste e fasciste sono note e accertate al di là di ogni dubbio.
Sempre nelle parole di padre Feltzmann:
“Se nella sua vita ha odiato qualcosa, era proprio il comunismo. Esso rappresentava il male per lui, perché aveva sofferto a causa di questo. Vedeva la Germania nazista come una crociata contro il comunismo. (…) ‘Io credo – mi disse, e questo lo disse proprio a me – che, se la gente pensa che Hitler abbia ucciso sei milioni di ebrei, certamente esagera. Hitler non era così malvagio. Potrebbe aver ucciso al massimo tre o quattro milioni di ebrei'”.
Conclusione di Feltzmann: “Io penso che Escrivá volesse vedere tutto questo in senso positivo, perché Hitler aveva salvato il cristianesimo in Spagna”.

Oggi nell’Opus Dei ci si riferisce comunemente a Escrivá come al “Nostro Padre che è in cielo”. L’assonanza con l’incipit del Padre nostro impressiona.

Il mausoleo e le Guardie Rosse

Il centro nevralgico dell’Opus Dei a livello mondiale, il cuore del sistema, è a Roma, in Viale Buozzi 73, quartiere Parioli. Non ci sono targhe o cartelli di identificazione, solo una scritta: “cappella prelatizia”. Nei sotterranei del complesso, in una cripta, trova il sepolcro del fondatore. Le spoglie mortali di Josemaría Escrivá riposano in una teca gigantesca di metallo dorato. Naturalmente esiste la possibilità che non si tratti di oro vero. In quel luogo, secondo Pinotti, spesso i potenti manager dell’Opera assistono alla messa. In genere “si tratta di giovani uomini vestiti con eleganza, attraenti. L’Opus Dei ritiene infatti che un aspetto gradevole sia di forte aiuto nell’apostolato. Niente gente brutta, malmessa, sofferente: facce abbronzate, denti perfetti, capelli curati”.
Non dunque il decoro semplice della sobrietà ma un’estetica edonazi da manager di Publitalia. Smalto trasparente sulle unghie, non un filo di barba, eleganza nel vestire…
Ripenso a una frase di Vittorio Messori che lessi anni fa, credo sul Corriere: “Se Cristo venisse oggi nel mondo, vestirebbe Armani”. Certo, e mica si sporcherebbe le mani con i pezzenti di tutto il mondo, scherziamo?

Gli operai di Dio

Numerari: membri celibi dell’Opus Dei. Studiano e lavorano “nel mondo”, ma vivono nei centri e nelle case della Prelatura. Nel momento in cui vengono ammessi nell’Opera, fanno testamento in suo favore (beni mobili e immobili) e triplice voto di castità, povertà e obbedienza. Sono inoltre tenuti a versare tutto ciò che guadagnano all’Opus Dei. A causa di questa prassi, se a un certo punto un numerario volesse abbandonare l’opera, magari dopo dieci o vent’anni, si troverebbe senza alcun sostegno economico: l’Opus Dei non prevede alcuna liquidazione o pensione per i lavori svolti dai suoi membri, né la giurisprudenza ha ancora colmato questa voragine normativa.

Emanuela Provera, ex numeraria: “Ci sono delle numerarie che lasciano l’Opus dei e non sanno dove andare; non hanno una casa, non hanno una famiglia, non hanno soldi. Per quello rimangono lì!”.

Soprannumerari: membri sposati dell’Opus Dei. Devono versare nelle casse dell’Opus Dei una parte dei propri redditi proporzionata al guadagno. Sono tenuti a rispondere settimanalmente delle loro scelte con un direttore spirituale dell’Opera e a interpellarlo anche nel caso delle scelte professionali. Pinotti: “Questo aspetto pone dei problemi seri, relativamente alla penetrazione dell’Opus Dei nei gangli più delicati della società – finanza, magistratura, mass media, ricerca scientifica, insegnamento, sanità – perché l’adesione dei membri dell’Opus Dei ai ‘diktat’ comportamentali che vengono dall’Opera stessa sono totalmente interiorizzati”.

Teodem

L’esperienza dell’ex numeraria Amina Mazzali:
“Prima di essere ammessi all’istituto [una scuola superiore dell’Opera], era necessario un colloquio per stabilire le attitudini e le propensioni alla scelta del liceo. Amina Sostenne l”esame’ con una numeraria dell’Opus Dei, Paola Binetti, una psichiatra che in seguito sarebbe divenuta famosa come presidente del Comitato Scientifico Scienza e Vita, poi eletta deputato [sic – in realtà senatrice] nelle liste della Margherita alle elezioni politiche dell’aprile 2006″.

Trattamento

“Trattare”: il termine con cui i numerari indicano il lavorio di persuasione per convincere una persona ad avvicinarsi all’Opus Dei.
I confini tra una legittima opera di apostolato e la manipolazione psicologica sono incerti e non facilmente distinguibili; comunque sia, molto spesso il trattamento riguarda ragazzini e ragazzine di tredici, quattordici anni: persone cioè molto più indifese e malleabili degli adulti.
In molti casi, dunque, la decisione di entrare a far parte dell’Opera si forma nel soggetto “trattato” a quella età, dopodiché i sensi di colpa massicciamente inoculati (“Se ti tiri indietro, volti le spalle a Dio”) interverranno quasi automaticamente a cauterizzare ogni ripensamento.
La richiesta di ammissione può essere inoltrata già dai quattordici anni e mezzo, anche se per atatuto non può essere formalizzata prima dei diciassette. Secondo diverse testimonianze, anche se non si è ancora membri dell’Opera, con l’inoltro della domanda l’adolescente si sente numerario e viene trattato come se già lo fosse. Ma è pensabile che un quattordicenne possa decidere in piena consapevolezza di scegliere – il più delle volte irrevocabilmente – una vita di castità, povertà, obbedienza e mortificazioni corporali (di cui viene informato solo quando ormai la sua adesione è sicura)?

Giornata tipo di una studentessa numeraria: sveglia alle sei, bacio del pavimento, preghiera, pulizie, orazione, messa, studio, due ore di cilicio, apostolato, reclutamento di possibili nuove numerarie, orazione, lettura di un libro di spiritualità, esame di coscienza.

Amina Mazzali:
“Hanno iniziato a propormi di entrare nell’Opus Dei quando avevo quindici anni… Non è così infrequente che si provochi la ‘crisi vocazionale’ a ragazzi così giovani. In realtà anche a me in seguito è capitato di parlare di vocazione a ragazze molto giovani, anche di tredici anni, e questo non è affatto scoraggiato dai direttori, anzi… Nessuna di noi aveva la percezione che stava forzando delle coscienze ancora deboli e immature”.

In tal caso, questo tipo di proselitismo compiuto sulla pelle degli adolescenti costituisce una violenza psicologica?

L’Opera negli USA

La sede centrale dell’Opus Dei negli Stati Uniti, a New York, viene comunemente chiamata “Torre del Potere” dai membri stessi dell’Opera.
È un palazzo di diciassette piani, situato nel cuore di Manhattan. Si calcola che sia costato 64 milioni di dollari.
Il principale finanziatore della Torre del Potere (con una donazione di 60 milioni di dollari): i Laboratori Ben Venue, un’azienda farmaceutica specializzata nella produzione di ormoni sintetici e plasma liofilizzato di sangue umano.

L’espressone con cui l’Opus Dei definisce sé stessa: “famiglia numerosa e povera”.

Gli amici americani veri e presunti dell’Opus Dei.
I senatori repubblicani Sam Brownback e Rick Santorum (per farsi un idea del tipo, si legga qui).
Tre giudici della Corte suprema degli Stati Uniti: Clarence Thomas, Antonin Scalia, Samuel Alito Jr.
Il giudice supremo Scalia, in particolare, sarebbe il principale responsabile della controversa vittoria elettorale di Bush nel 2000 (si legga qui).

L’avvocato Mark Belnick, capo dell’ufficio legale della Tyco (una corporation da 270.000 dipendenti, 1800 stabilimenti e un giro d’affari annuale di 36 miliardi di dollari).
“UN AVVOCATO CORROTTO FINANZIAVA L’OPUS DEI. Secondo i documenti in mano del procuratore distrettuale di Manhattan, Mark Belnick, capo dell’ufficio legale della Tyco, nei tre anni e nove mesi trascorsi nella società ha incassato 37,2 milioni di dollari, senza tenere conto dei 14 milioni in prestiti a tasso zero ricevuti sotto banco dalla compagnia protagonista di uno dei più colossali scandali finanziari. Belnick è sotto accusa in quanto tali somme non sarebbero altro che una maxitangente sborsata dalla Tyco per comprare il silenzio del suo avvocato sulle ruberie perpetrate per anni dal suo top manager, Dennis Kozlowski. Il favoloso ‘bottino’ di Belnick ‘è finito quasi interamente nelle casse della Chiesa Cattolica americana e dell’Opus Dei’, rivela adesso Laurie Cohen in un lungo reportage sulla prima pagina del Wall Street Journal. Ma la vera svolta è l’incontro con padre McCloskey, il 49enne economista che lavorò come broker alla Merrill Lynch prima di diventare prete, nell’81, oggi membro di punta dell’Opus Dei negli Usa. ‘McCloskey è l’addetto stampa della diocesi di Washington – scrive la Cohen – ma tutti lo conoscono come il genio che converte al cattolicesimo i ricchi e famosi, soprattutto ebrei’. ‘Lo Spirito Santo mi ha scelto come tramite – minimizza McCloskey – porto la parola di Dio a chi ne ha bisogno’. Nel maggio del 2001, grazie all’intercessione di McCloskey, Mark Belnick e la moglie hanno partecipato ad una messa con papa Giovanni Paolo II nella cappella privata del pontefice in Vaticano.”

Padre John McCloskey: “Insegnate ai bambini a dare valore alla povertà e al distacco. Non permettete loro indiscriminatamente di acquisire cose o misurare le persone in base all’ammontare dei loro possessi”.

L’ex capo dell’FBI (dal 1993 al 2001), Louis Freeh.
Nel 2005, dopo vent’anni trascorsi in una casa dell’Opera a Washington e una lenta, dolorosissima presa di coscienza, Colleen O’Neill decide di andarsene. Lo fa di nascosto, senza prendere con sé nemmeno i pochi effetti personali. I genitori la aspettano in macchina, nelle vicinanze. Una scena da film, dice Pinotti. L’Opus Dei denuncia i genitori di Colleen per rapimento, il che fa scattare automaticamente una vasta operazione di polizia. Non solo: secondo le parole della signora O’Neill, “L’FBI ci è piombata in casa più volte, ha messo a soqquadro la nostra abitazione”.

Pecus Dei

Il già citato ex numerario americano Dennis Dubro (oggi fisico nucleare), ha lavorato per anni come tesoriere in una residenza universitaria dell’Opus Dei, il Warrane College di Sidney, Australia. Avendo scoperto che le irregolarità nella gestione finanziaria dell’istituto costituiscono la regola, cerca in perfetta buona fede di avvertire le alte gerarchie dell’Opera. Quando un rappresentante del Prelato arriva in visita da Roma, Dubro ottiene un colloquio di un’ora. “Mi ascoltò con uno sguardo pieno di noia e frustrazione. Poi mi guardò dritto negli occhi e mi disse che le cose per le quali stavo protestando semplicemente non avvengono, nell’Opus Dei. E mi indicò la porta.”

Libri all’indice

L’Opus ha un suo index librorum prohibitorum per uso interno: si chiama Guida bibliografica e nell’edizione del 2003 classifica 60.541 volumi secondo un sistema di voti dall’1 al 6. Ogni membro dell’Opus dei è tenuto tassativamente a seguire questa norma: i libri dall’1 al 2 (un esempio: Il signore degli anelli) possono essere letti senza problemi; se un libro è classificato 3, lo si può leggere solo previa valutazione del direttore del Centro in cui si vive; i 4 e 5 necessitano di un permesso del direttore e del Vicario Regionale. Il 6 (esempi: Vittorio Alfieri, Francesco Alberoni, Balzac, Enzo Biagi, Teocrito) esige il permesso esplicito del prelato – cioè della massima autorità dell’Opus. Per leggere un determinato libro “proibito” per ragioni di studio, uno studente o un docente dell’Opera – quale che sia il loro paese – devono inoltrare domanda a Roma, alla sede della Prelatura.
Mi chiedo: che serietà può garantire un docente di filosofia affiliato all’Opera che non può leggere Nietzsche, Adorno, Bergson, Cartesio e Schopenhauer se non attraverso i riassunti stilati dall’Opus o alla fine di un lungo e tortuoso iter dall’esito incerto?

Anche Sant’Agostino…

A proposito del controllo sulle letture, l’ex numeraria Amina Mazzali racconta questo episodio: “Avevo appena iniziato lettere classiche all’università e frequentavo un corso di latino. Il tema era la letteratura latina del primo cristianesimo e i miei testi erano esclusivamente brani di alcuni Padri della Chiesa, tra cui S. Agostino e S. Ambrogio. Considerati gli autori e gli argomenti ritenni non fosse necessario chiedere il permesso (…). Quando se ne accorse la direttrice mi fece una scenata violentissima, dicendo che non potevo permettermi assolutamente di prendere alcuna iniziativa, che nessuno si era mai permesso una cosa simile e che S. Agostino avrebbe anche potuto scrivere qualcosa che non andava bene”. Il corsivo è mio.

L’indice di Wojtyla

Ernesto Cardenal, sacerdote e poeta nicaraguense, partecipa alla lotta contro il dittatore Somoza e nel 1979, con la vittoria della rivoluzione, entra a far parte del governo sandinista come ministro della cultura. Quattro anni dopo, nel 1983, Giovanni Paolo II in visita ufficiale atterra all’aeroporto di Managua. Ad accoglierlo, tra le autorità religiose e laiche, c’è anche don Ernesto Cardenal. Quando il papa gli si avvicina, lui si inginocchia davanti e fa per baciargli la mano. Wojtyla la ritrae con gesto stizzito, punta l’indice contro il sacerdote-ministro e in tono brusco lo invita a regolarizzare i suoi rapporti con la Chiesa. Il tutto in mondovisione.

Il Quarto Piano

Il ricorso agli psicofarmaci ricorre con inquietante regolarità nelle testimonianze di pressoché tutti i fuoriusciti. Stando alle loro parole, l’uso degli psicofarmaci tra i numerari è quasi una pratica di massa.

L’ex numerario Alberto Moncada è un sociologo spagnolo. È entrato nell’Opus Dei nel 1950; negli anni Sessanta è stato addirittura tra i fondatori della prima università dell’Opera in America Latina, quella di Piura, in Perù. Per la sua statura intellettuale e i suoi trascorsi di alto dirigente dell’Opus Dei, le sue testimonianze in questo campo sono considerate autorevolissime.
In un saggio intitolato “La Cuarta Planta” (“Il Quarto Piano”, 2004), in cui affronta il fenomeno dei disturbi mentali tra i numerari dell’Opus Dei, Moncada parla del “quarto piano” della clinica psichiatrica dell’Università di Navarra. Il brano, agghiacciante (e pieno di consonanze abissali per chi, come me, abbia per ragioni di studio affrontato il rapporto tra stalinismo e istituzione psichiatrica), merita una lunga citazione:
“Si constata un crescente numero di infermità mentali tra i soci numerari dell’Opus Dei. Essi vengono sottoposti a un peculiare trattamento al quarto piano della clinica universitaria di Navarra. Al quarto piano vengono destinati i membri dell’Opus che presentano dei problemi. Una prima parte di pazienti sono uomini e donne che soffrono di disturbi psicologici prodotti dalle contraddizioni insite nella vita dei numerari. I vertici dell’Opus Dei non permettono che professionisti della salute mentale estranei all’Opera si occupino di queste persone, e hanno organizzato – per curarle – una propria équipe a Pamplona, (…) formata esclusivamente da membri dell’Opus Dei.
“La seconda tipologia di pazienti ricoverati al quarto piano della clinica dell’Opus Dei sono gli indecisi e i critici. (…) Quando i numerari attraversano crisi di identità, sono invitati o forzati a trascorrere un periodo di tempo al quarto piano della clinica psichiatrica. (…)
“Molti pazienti della cuarta planta sono tenuti in stato di forte sedazione, grazie alla somministrazione di una quantità di tranquillanti e psicofarmaci che ne debilitano la volontà.”

I figli deformi

Antonio Carlos Brolezzi, ex numerario brasiliano. Recentemente si è parlato di lui sulla stampa internazionale (era il periodo del Codice da Vinci) per la “tuta di castità” che a un certo punto, durante la sua permanenza nell’Opera, è stato costretto a indossare di notte per evitare di masturbarsi.
Verso la fine della sua esperienza nell’Opus, quando ormai è chiara la sua intenzione di andarsene, i suoi superiori e direttori spirituali lo sottopongono a una serie di pressioni psicologiche che – nel caso di persone fragili, addestrate da anni all’obbedienza e al senso di colpa – possono risultare devastanti. Pinotti: “Gli dicono che la maledizione di Escrivá su chi esce è quella di avere figli deformi, una cosa terribile perché i difetti fisici non sono accettati di buon grado dall’Opera. Brolezzi insiste nel chiedere la dispensa dall’impegno contratto con l’Opera. Ma deve sopportare un terribile discorso sulle conseguenze che avrebbe avuto il suo abbandono dell’Opera: infelicità, tradimento, vita mediocre, niente figli o figli portatori di handicap”.

Poeti e scrittori

Emanuela Provera, ex numeraria: “Thomas Stearns Eliot (…) e Fëdor Dostoevskij (…) rappresentarono per me un importante momento di riflessione, in quegli anni di forte crescita ed evoluzione. Lo stimolo che ricevetti dai due pensatori fu quello di un’esperienza psicoterapeutica, per cominciare a entrare in un confronto dialettico con la mia persona e con la condizione umana in generale”.

Phallus Dei

L’Apoteosi di Escrivá nel ricordo di Carlos Brolezzi. Roma, piazza San Pietro, 17 maggio 1992, cerimonia di beatificazione.
“…La cerimonia si avvicinò al suo climax: ovvero il momento in cui un’enorme immagine del fondatore sarebbe stata stesa sulla facciata della basilica di San Pietro. Quando questo accadde e l’occhio di Escrivá si volse a guardare la piazza, partendo proprio dalla sede della Chiesa, mi fu chiara una cosa: il fondatore dell’Opus Dei di fatto aveva metaforicamente aperto le gambe della sposa di Cristo, la Chiesa; e freneticamente ci introduceva decine di migliaia di suoi figli, membri dell’Opera, una nuova specie di cattolici ibridi, un misto di avidi profittatori, esecutori e tenaci pescatori di anime. La Chiesa cattolica giaceva inerte sotto il peso ansimante del fondatore dell’Opus Dei. Questo era il sesso dominante, nell’Opus Dei. Ed era per questo che il fondatore faceva tante storie sulla pronuncia maschile del termine latino neutro Opus. L’Opus Dei era stato creato per possedere la Chiesa. Un sentimento di estasi prese la piazza… La Chiesa era nostra. Il papa era nostro. Roma era nostra. Il mondo era nostro.”

*
Sul sito italiano dell’Opus Dei una pagina apposita è dedicata alla confutazione del libro di Ferruccio Pinotti. Una volta letto Opus Dei segreta è doveroso consultarla, se non altro per giudicare la validità delle smentite dell’Opus Dei. Personalmente, mi è capitato di rado di trovare una così sistematica volontà di aggirare ogni questione. Ma, ripeto, è un’impressione soggettiva. Fateci un giro e giudicate.

Pubblicato da s.baratto il 13-02-07

Sergio Baratto
http://www.ilprimoamore.com/testo_392.html

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