Con mossa ardita, i fautori della "discontinuità" del Vaticano II
rispetto alla Chiesa del passato dicono che Benedetto XVI sta dalla
loro parte. Ruggieri, Komonchak e altri lo spiegano sulla loro rivista.
Ma è proprio così?
ROMA,
11 dicembre 2007 – Per quasi due anni, il memorabile discorso con il
quale Benedetto XVI aveva criticato e respinto l’interpretazione del
Concilio Vaticano II come "discontinuità e rottura" era rimasto senza
risposta. Nessuno degli storici e teologi apparentemente presi di mira
aveva replicato alle argomentazioni del papa.
Ma oggi la risposta è finalmente arrivata, in forma quasi
ufficiale, con quattro saggi di quattro studiosi molto rappresentativi,
pubblicati sull’ultimo numero di "Cristianesimo nella storia", la
rivista dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna.
L’Istituto bolognese, fondato da don Giuseppe Dossetti e dal
professor Giuseppe Alberigo, è quello da cui è uscita la "Storia del
Concilio Vaticano II" più letta al mondo, in cinque volumi completati
nel 2001 ed editi in sette lingue. Una "Storia" che interpreta il
Concilio più come "evento" che per i suoi documenti, più nello
"spirito" che nella "lettera", più come "nuovo inizio" che in
continuità con la Chiesa precedente.
Gli autori dei quattro articoli di replica al papa sono l’italiano
Giuseppe Ruggieri, direttore di "Cristianesimo nella storia",
l’americano Joseph A. Komonchak, il francese Christoph Theobald e il
tedesco Peter Hünermann.
Quest’ultimo – oltre ad aver collaborato alla "Storia" bolognese –
ha anche edito assieme a Bernd J. Hilberath un commentario in cinque
volumi dei documenti conciliari, per ora solo in lingua tedesca:
"Herders Theologischer Kommentar zum II Vatikanische Konzil",
Freiburg-Basel-Wien", 2005-2006.
In questo commentario, come anche nel saggio su "Cristianesimo
nella storia", Hünermann sostiene la somiglianza tra i documenti del
Vaticano II e "i testi costituzionali elaborati dalle assemblee
costituenti rappresentative".
Benedetto XVI, nel discorso del 22 dicembre 2005, aveva criticato così tale tesi:
"In questo modo, il Concilio viene considerato come una specie di
costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova.
Ma la costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da
parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve
servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai
dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione
essenziale della Chiesa viene dal Signore".
Hünermann in realtà aveva sostenuto – e ora lo ribadisce – che tra
i testi conciliari e le costituzioni degli stati ci sono anche delle
differenze, la prima delle quali è che l’autorità dei vescovi
"costituenti" deriva da Cristo. Grazie a questo egli ritiene di
sottrarsi alla critica del papa. E grazie a questo Komonchak chiude
così la disputa:
"C’è qualcosa di curioso nel commento del papa, perché io non
conosco nessuno che abbia assimilato il Concilio Vaticano II a
un’assemblea costituente; e di certo ciò non è mai stato nella [nostra]
mente".
* * *
Ma c’è di più. I quattro studiosi che intervengono su
"Cristianesimo nella storia" non si limitano a sostenere che le
critiche del papa non li toccano.
Essi portano Benedetto XVI dalla loro parte. Mettono anche lui tra
i fautori della "discontinuità" della Chiesa prima e dopo il Vaticano
II.
Komonchak conclude così il suo articolo:
"Questa fu ‘la svolta epocale’ che Giuseppe Alberigo ha proposto
come significato storico del Concilio Vaticano II. Lungi dall’essere
ripudiata, pare a me che essa è stata affermata e confermata da papa
Benedetto XVI".
* * *
I più arditi nel reclutare Joseph Ratzinger tra le loro file sono Komonchak e Ruggieri.
Komonchak liquida come prive di un reale bersaglio le critiche del
papa ai teorici del Concilio come "rottura". E fa leva invece sui
passaggi del discorso del 22 dicembre 2005 nei quali Benedetto XVI
disse che dietro la "apparente discontinuità" di certe affermazioni
conciliari – in particolare quella sulla libertà religiosa – vi fosse
invece "piena sintonia con l’insegnamento di Gesù stesso come anche con
la Chiesa dei martiri, con i martiri di tutti i tempi".
A giudizio di Komonchak, la discontinuità esemplificata dal papa
non è affatto "apparente", ma reale. Su questa e altre questioni, lo
stacco rispetto ai secoli precedenti è troppo evidente. Nella sostanza,
quindi, anche il papa è concorde con chi vede nel Concilio Vaticano II
il più grandioso cambiamento della Chiesa degli ultimi secoli.
Ruggieri è più sottile. Se il papa, nel discorso del 22 dicembre
2005, ha difeso la continuità del Concilio con la precedente tradizione
del magistero cattolico, è perché dal punto di vista "tipico del
teologo", che era il suo, "non poteva che sottoscrivere questa
concezione".
Ma dal punto di vista storico, obietta Ruggieri, tutto cambia. La
"novità" del Vaticano II è un fatto innegabile. E lo stesso Ratzinger
vi contribuì, quando in Concilio era l’esperto di fiducia del cardinale
tedesco Josef Frings. Secondo Ruggieri, fu il giovane Ratzinger a
scrivere l’esplosivo discorso che Frings lesse in aula durante la prima
sessione, discorso di piena rottura col magistero ecclesiastico degli
ultimi due secoli. Dal che Ruggieri deduce:
"Ciò che nella ‘Storia’ diretta da Alberigo si afferma sulla novità
del Vaticano II è ben riassunto in questo intervento di Frings". Leggi:
di Ratzinger.
* * *
Se dunque anche Benedetto XVI è arruolato tra i buoni, tra i cattivi chi resta?
Komonchak e Ruggieri fanno nomi e cognomi: gli irricuperabili sono
l’arcivescovo Agostino Marchetto e il cardinale Camillo Ruini.
Il primo, un diplomatico della curia romana, è l’autore di numerose
e puntigliose stroncature della "Storia" diretta da Alberigo, raccolte
in un volume pubblicato dalla Libreria Editrice Vaticana nel 2005,
alcuni mesi prima del discorso di Benedetto XVI sulle interpretazioni
del Concilio.
Il secondo, vicario del papa per la diocesi di Roma, nel presentare al pubblico il volume di Marchetto, disse tra l’altro:
"L’interpretazione del Concilio come rottura e nuovo inizio sta
venendo a finire. È un’interpretazione oggi debolissima e senza
appiglio reale nel corpo della Chiesa. È tempo che la storiografia
produca una nuova ricostruzione del Vaticano II che sia anche,
finalmente, una storia di verità".
Così, almeno, riferì www.chiesa in un servizio del 22 giugno 2005.
Ruggieri, sulla base di una registrazione elettronica, trascrive invece
così le parole finali del cardinale:
"Una diversa storia onestamente è ancora da scrivere. Abbiamo
bisogno di un’altra grande storia in positivo del Concilio Vaticano
II".
Ma anche assolto questo scrupolo filologico, Ruggieri mantiene
contro Ruini il pollice verso: perché in lui, in Marchetto e in "quanti
polemizzano contro la ‘Storia’ diretta da Alberigo oggettivamente si
manifesta una paura della memoria dell’evento". Essi rifiutano la
"Storia" non perché enumera le molte novità del Vaticano II – novità
che sono capacissimi di "annegare" nel mare della continuità – ma
proprio perché racconta il Concilio "come evento che ha aperto una
nuova stagione della chiesa".
* * *
Il Concilio come evento. In molte pagine dell’ultimo numero di "Cristianesimo nella storia" ritorna questa tesi portante.
Theobald dà evidenza a questa frase di Alberigo: "Il Concilio come
tale, in quanto evento di comunione, di confronto e di scambio, è il
messaggio fondamentale che costituisce il quadro e il nocciolo della
sua recezione".
Ruggieri scrive: "Il Concilio ha trasmesso se stesso. In questo
senso la nuova ‘dottrina della chiesa’ non è frutto della Lumen Gentium
e degli altri frammenti ecclesiologici presenti nei vari documenti
conciliari, ma della celebrazione conciliare in quanto tale. […] Il
problema della recezione del Vaticano II è primariamente quello della
sinodalità della chiesa tutta".
Ma questa visione non è proprio quella che Benedetto XVI aveva
criticato sotto l’etichetta della "ermeneutica della discontinuità e
della rottura"?
Ecco come la descrisse allora il papa:
"L’ermeneutica della discontinuità […] asserisce che i testi del
Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello
spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali,
per raggiungere l’unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e
riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi
compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma
invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi
rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e
in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i
testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del
Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al
di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe
l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In
una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo
spirito".
Hanno un bel dire Komonchak, Ruggieri ed altri che queste cose non
le hanno mai scritte così, pari pari. Perché anche la loro "Storia" è
un evento che va oltre il testo, ha una recezione e produce un pensiero
e una prassi.
Benedetto XVI ha semplicemente messo tutto ciò nero su bianco. Ha descritto e criticato lo "spirito" della scuola di Bologna.
Il paradosso di "Cristianesimo nella storia" è che, per rispondergli, si attacca alla "lettera".
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I saggi citati sono usciti sul n. 2 del 2007 di "Cristianesimo
nella storia", la rivista dell’Istituto per le Scienze Religiose di
Bologna. Nell’ordine e nelle lingue originali:
– Joseph A. Komonchak, "Benedict XVI and the Interpretation of Vatican II", pp. 323-338;
– Peter Hünermann, "Der «Text». Eine Ergänzung zur Hermeneutik des II. Vatikanischen Konzils", pp. 339-358;
– Christoph Theobald, "Enjeux herméneutiques des débats sur l’histoire du concile Vatican II", pp. 359-380;
– Giuseppe Ruggieri, "Recezione e interpretazione del Vaticano II. Le ragioni di un dibattito", pp. 381-406.
Nelle prime due pagine del primo dei quattro articoli Komonchak dà ampio risalto ai servizi di www.chiesa pubblicati sul tema:
> Benedetto XVI rilegge il Concilio Vaticano II. E questa è la prefazione (5.12.2005)
> Il Concilio di Bologna. Fortune e tramonto di un sogno di riforma della Chiesa (30.8.2005)
> Vaticano II: la vera storia che nessuno ha ancora raccontato (22.6.2005)
> Concilio "capovolto" e Opus Dei. Un inedito bomba di Giuseppe Dossetti (1.12.2003)
> Concilio Vaticano II. Una storia non neutrale (9.11.2001)
Recentemente, monsignor Agostino Marchetto è intervenuto di nuovo
contro l’interpretazione del Concilio Vaticano II fatta dalla scuola di
Bologna. Il suo testo è riprodotto integralmente in questo servizio:
> Grandi ritorni: Romano Amerio e le variazioni della Chiesa cattolica (15.11.2007)
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Il discorso di Benedetto XVI alla curia romana del 22 dicembre 2005, sulle interpretazioni del Concilio Vaticano II:
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A proposito di continuità e discontinuità, uno dei punti di
cambiamento più spettacolari tra prima e dopo il Concilio Vaticano II è
generalmente indicato nella liturgia della messa.
In realtà, il messale preconciliare del 1962 – comunemente detto
"di San Pio V" – e quello postconciliare del 1970 "recepiscono entrambi
i criteri dell’Istruzione sulla musica sacra e la sacra liturgia
promulgata da Pio XII nel 1958".
È ciò che spiega in modo convincente Enrico Mazza, professore di
storia della liturgia all’Università Cattolica di Milano, in un saggio
pubblicato sul numero 10, 2007, della "Rivista del Clero Italiano",
edita da Vita e Pensiero:
> La Rivista del Clero Italiano
La vera svolta sarebbe dunque avvenuta cinque anni prima
dell’inizio del Concilio. Eppure nessuno, all’epoca, avvertì una
"rottura" con la tradizione della Chiesa.
Se è così, la spettacolarità del cambiamento non risiede nel
messale del 1970, ma nella perdita di controllo sulla sua
utilizzazione.
di Sandro Magister
– Espresso Chiesa – 11/12/2007