Christian
Federico Von Wernich e’ stato il cappellano cattolico della polizia di
Buenos Aires durante la dittatura militare in Argentina (1976-1983). Il
9 ottobre 2007 è stato condannato all’ergastolo per crimini commessi
nel genocidio argentino in cui morirono circa 30.000 persone. In
particolare, il sacerdote cattolico è stato ritenuto colpevole di aver
partecipato a 7 omicidi, 42 privazioni illegali della libertà e 31 casi
di tortura.
Miriam Bregman, avvocato di parte civile del processo spiega:
Von
Wernich è accusato di aver partecipato a sette omicidi, a quarantadue
privazioni illegali della libertà, e trentun casi di tortura. Le
testimonianze sono tutte coincidenti. Tutti i testi riferiscono che nei
colloqui con Von Wernich si parlava sempre della tortura che avevano o
avrebbero subito e lui gli sollecitava a dire tutto, a collaborare,
perché così sarebbero stati trattati meglio. Sette di quelli che ha
convinto a collaborare sono stati assassinati.
che i denuncianti hanno creato per l’occasione. Si tratta di materiale
disponibile per la prima volta in lingua italiana. La foto di Carlos
Lopez Cepero e testi tradotti dallo staff di Chiesa Cattiva possono essere diffusi citando le fonti.
Durante
la prima udienza del processo, il 4 giugno 2007, venne letta la
dichiarazione resa dal poliziotto Julio Alberto Emmed alla commissione
nazionale sulla sparizione delle persone (CONADEP), concernente
l’assassinio di sette persone:
Stavamo aspettando padre
Christian Von Wernich, che aveva parlato e benedetto i sovversivi. Mi
incontrai con il sacerdote nella mia macchina. Dovevo colpire i
prigionieri per stordirli […]. Quando i prigionieri videro l’arma si
scagliarono contro di essa e ne nacque una rissa. Gli diedi vari colpi
sulla testa con il calcio della mia pistola. Gli produssi numerose
ferite che sanguinarono abbondantemente, tanto che sia io, che
l’autista, che il sacerdote eravamo macchiati di sangue. Scaricammo i
corpi dei sovversivi che erano ancora vivi. Il medico (Jorge Bergés)
fece due iniezioni a ciascuno, direttamente nel cuore, con un liquido
rosso che era veleno. A quel punto ci cambiammo i vestiti perché
eravamo sporchi di sangue. Padre Von Wernich mi parlo per
tranquillizzarmi dopo quello che avevo visto. Mi disse che ciò che
avevamo fatto era necessario, era un atto patriottico e che Dio sapeva
che era per il bene del paese.
Il primo testimone del processo fu Hector Ballent, ex funzionario statale, che rese le sue dichiarazioni il 10 luglio 2007:
Un
giorno venne un prete a parlare con noi. Io dissi ad uno dei miei
compagni di prigionia che avevo il sospetto che non fosse un prete,
perché non usava un linguaggio proprio del religioso. Tuttavia, ad un
certo punto Von Wernich disse: ”ragazzi, perché non fate una cosa,
confessate quello che sapete, così smettono di torturarvi”. Il
sacerdote era a conoscenza delle torture che subivamo, non fece nulla
per salvarci dal martirio.
Lo stesso giorno
testimoniarono anche Juan Ramón Nazar, direttore del quotidiano La
Opinion e Alberto Liberman ex ministro delle Opere Pubbliche. Entrambi
confermarono che don Von Wernich era un frequentatore abituale dei
centri di detenzione clandestina e che era a conoscenza delle torture.
Julio
Miralles testimoniò il 12 luglio 2007 sottolineando che il cappellano
si muoveva all’interno del centro di detenzione con totale libertà e che
Von Wernich intratteneva rapporti familiari con i torturatori
e gli disse
ragazzi, dovete collaborare così non vi torturano più e sarete ringraziati da Dio e dalla Patria.
Secondo Miralles, padre Von Wernich
si presentava come un rappresentante della Chiesa, era come se Dio ti stesse dando una mano, invece era il Diavolo.
Il
16 luglio 2007 testimoniò Hector Timerman, Console argentino a New
York, parlando del sequestro di suo padre Jacobo. Il diplomatico
assicurò che Von Wernich
agì come repressore e
torturatore, non come un prete. […] Von Wernich partecipò alle
torture di mio padre, era presente in vari interrogatori, quando si
abbassava la benda poteva vederlo lì, seduto vicino al capo della
polizia di Buenos Aires Ramón Camps.
Il Console continuò raccontando che suo padre riconobbe Von Wernich:
era
bendato, però a volte la benda si spostava perché saltava per effetto
delle scariche elettriche e lo poté riconoscere, era sempre presente
quando lo torturavano.
Juan Destéfano testimoniò il 19 luglio 2007 dicendo che padre Von Wernich
partecipava alla repressione e alla tortura. Era membro del gruppo che torturava e sequestrava.
Osvaldo Papaleo, che fu l’addetto stampa di Isabelita Peron, testimoniò il 26 luglio 2007 che don Von Wernich
andava e veniva con assoluta libertà
Secondo
Papaleo, il cappellato veniva al centro illegale di detenzione Puesto
Vascos accompagnato dal medico Berges. Secondo il testimone c’era
un
organizzazione collegiale per la tortura, dove ognuno aveva il proprio
ruolo […] Von Wernich dimostrava sempre di conoscere bene quello che
avevamo dichiarato sotto tortura.
Lo stesso giorno
testimoniò anche Vicente Romero, giornalista spagnolo e corrispondente
in Argentina del quotidiano “El Mundo”. Romero disse che il capo della
polizia di Buenos Aires gli mostrò un documento redatto dalla
nunziatura apostolica, inviato al Vaticano, dove la Giunta Militare
riconosceva i crimini e informava che circa 1800 persone erano state
seppellite in fosse comuni. Il giornalista, inoltre, disse che
bisognerebbe
investigare anche sulle aziende partecipate dai militari e quelle dove
i militari erano parte del Consiglio di Amministrazione. Casi
emblematici sono Ford e Mercedes Benz.
Rubén Fernando Schell testimoniò il 6 agosto parlando delle sofferenze subite per la tortura morale da parte del sacerdote:
più
che le torture, le botte, la pistola elettrica, soffrii per la tortura
morale causata da questo signore (Von Wernich). Me lo ricordo e ancora
mi duole pensare che un sacerdote possa fare queste cose. […] Non era
un prete, era un figlio di puttana.
Il 9 agosto 2007
testimoniò María Mercedes Molina Galarza, che nacque durante la
prigionia di sua madre Liliana Garlaza e venne battezzata proprio da
padre Von Wernich. La madre faceva parte del gruppo dei sette giovani
ai quali era stata promessa la possibilità di espatriare. Fu proprio il
cappellano ad accompagnarli nel loro viaggio, ma risultano attualmente
desaparecidos. Molina Galarza disse che
Von Wernich ha
riconosciuto di aver accompagnato i sette (fino alla presunta uscita
dal paese). Io credo che lui sappia quale fu il destino finale del
gruppo, però i giorni passano senza che ci racconti cosa accadde. Lui
sa dove sono i loro corpi e questo per noi è molto duro da sopportare.
La testimone continuò sostenendo che
la
persona che mediava le comunicazioni tra mia mamma e i miei nonni era
Von Wernich. I miei nonni lo incontrarono varie volte ed in uno di
questi incontri il prete gli disse che mia mamma non era molto convinta
della sua fede e pensava che la sua missione non fosse religiosa ma
avesse lo scopo di ottenere informazioni.
Infine disse che
la
mia famiglia preparò due valigie di vestiti e tutto il denaro che
poteva, diede tutto al cappellano, ma non sappiamo quale sia stato il
destino di questi beni.
Lo stesso giorno testimoniò Ricardo
Molina. Disse che un sacerdote lo visitò nella sua cella e gli diede
delle medagliette della Madonna di Luján. Molina non lo poté
riconoscere perché
eravamo incatenati ai nostri letti, incapucciati e si presentò una persona che aveva la sottana e le scarpe nere.
Testimoniò
anche Carlos Martín Galarza, il fratello di Liliana, ricordando che suo
padre andò nella città di La Plata per cercare informazioni su sua
figlia. Al terzo viaggio andò in Curia perché erano una famiglia
fortemente cattolica e cristiana. Durante l’incontro un sacerdote gli
disse
non possiamo fare nulla per voi, però se avremo notizie gliele faremo sapere.
Il racconto di Galarza continua dicendo che
l’ultima
volta vennero a casa nostra con una bimba. Il fatto che era un prete a
fare da intermediario, in una famiglia fortemente cattolica, ci dava
molta speranza. […] Mio padre si incontrò varie volte con il
sacerdote che faceva capire che tutto stava procedendo per il meglio.
Adriana Idiart testimoniò il 13 agosto 2007, sostenendo che sua madre
entrò in contatto con don Von Wernich durante le ricerche della figlia
Cecilia. Il sacerdote visitava spesso la loro casa promettendo sempre
sviluppi positivi per la liberazione della figlia. Sosteneva di dare
appoggio spirituale ai ragazzi che, essendo bravi, potevano uscire dal
paese. La madre di Cecilia diede al sacerdote 500 dollari, altri soldi
per vivere un mese senza lavoro in Brasile e comprò valigie e vestiti.
Carlos
Girart era il fidanzato di Cecilia e testimoniò che il cappellano
utilizzava il proprio status religioso per ottenere la fiducia delle
persone:
mia suocera era assolutamente convinta delle
parole di Von Wernich. Io avevo una visione più politica, però contro
la fede non si può fare nulla.
Lo stesso giorno testimoniò
Adelina Dematti de Alaye, Madre di Plaza de Mayo e fondatrice
dell’Assembrea Permanente per i Diritti Umani di La Plata (una delle
organizzazioni che hanno promosso questo processo). Alaye presentò al
giudice uno scritto in cui la madre di Cecilia denunciava la situazione
di sua figlia. Nella lettera c’è scritto che
le autorità
che in questo momento si stanno occupando del caso sono il Sig Páez,
Capo della Brigata, il Sig Etchecolatz, Director delle Investigazioni
della Polizia e il cappellano della Polizia Padre Cristian. Attraverso
questo sacerdote abbiamo fatto avere i documenti e i passaporti
necessari per farli espatriare.
Sempre il 13 agosto 2007 testimoniò anche Adreina Moncavillo:
si
sovrapponevano le terribili torture fisiche con l’aspetto spirituale,
perché anche se una persona non crede, si afferra alla fede; lì agiva
Von Wernich. Tentava di penetrare nei punti sensibili per ottenere
informazioni che non erano state ottenute con la tortura.
La Moncavillo testimoniò che suo fratello gli rivelò che Von Wernich era presente durante le sessioni di tortura.
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da: Chiesa Cattiva