34055. TRENTO-ADISTA. Mons. Luigi Bressan, vescovo di Trento, fa come il card. Ruini quando era presidente della Cei: invita i cattolici a non recarsi alle urne per far mancare il quorum della metà più uno dei votanti, facendo così fallire un referendum popolare. Stavolta però non si tratta di bioetica – come il referendum sulla procreazione assistita del giugno 2005, che raggiunse una percentuale di votanti inferiore al 26%, anche grazie alla massiccia campagna astensionistica promossa dalla Cei e dal suo braccio secolare, il comitato "Scienza e Vita" – ma di finanziamenti pubblici alla scuola privata, e la consultazione è a livello provinciale.
Un comitato referendario animato dalla Uil-scuola (e composto da insegnanti, docenti universitari, medici e altri cittadini trentini) ha infatti promosso e raccolto le firme per un referendum "contro il finanziamento della scuola privata". In particolare il quesito referendario, sui cui gli elettori trentini saranno chiamati ad esprimersi con il voto il prossimo 30 settembre, chiede l'abrogazione di due articoli della legge provinciale n. 5 del 2006: l'articolo 76, che prevede che la Provincia eroghi contributi economici sia a favore degli studenti frequentanti le scuole paritarie per pagarsi la retta sia a favore delle stesse istituzioni scolastiche "per l'acquisto e il rinnovo di arredi e attrezzature didattiche", e il comma 7 dell'articolo 35, in base al quale "il piano provinciale per il sistema educativo rileva la distribuzione sul territorio delle istituzioni paritarie"; la Provincia cioè può, per esempio, decidere di chiudere – o di non aprire – una scuola pubblica se nelle vicinanze c'è già una analoga scuola paritaria che viene pienamente riconosciuta nel sistema scolastico provinciale.
Una legge, quindi, che oltre ad aumentare sensibilmente il finanziamento pubblico alla scuola privata – che fra il 2003 e il 2006 è già costato alla Provincia oltre 9 milioni di euro, tutti in forma di contributi diretti agli studenti delle paritarie – limita, di fatto, il diritto allo studio, perché potrebbe mettere nelle condizioni molte famiglie di dover necessariamente scegliere una scuola privata per i loro figli. "È una legge che viola la Costituzione della Repubblica secondo la quale le scuole private non devono comportare oneri per lo Stato", spiega ad Adista Vincenzo Bonmassar (segretario della Uil scuola di Trento), "e che mina la democrazia perché è stata approvata nelle stanze segrete del potere nel cuore dell'estate, il 28 luglio del 2006, senza nessun tipo di confronto con i cittadini. Il referendum quindi è anche un argine all'emergenza democratica nella nostra Provincia".
Tanto più che il vescovo della città, mons. Bressan, ha fatto da megafono all'invito all'astensione lanciato dal "comitato per la libertà di educazione", un cartello formato dalle scuole cattoliche (Fism, Fidae e Agesc, l'associazione dei genitori degli alunni), da altre associazioni di matrice cattolica (fra cui Acli, Compagnia delle Opere – il braccio economico di Comunione e Liberazione -, Rinnovamento dello Spirito) e dalle forze politiche centriste (Udc, Udeur e la Margherita trentina del presidente della Provincia Lorenzo Dellai che più di tutti ha voluto la legge). "Nell'ambito politico è inevitabile dover scegliere fra opzioni diverse – spiega Bressan in un'intervista pubblicata dal settimanale diocesano Vita Trentina il 16 settembre -: l'andare a votare 'no' al referendum può essere più espressivo, ma la scelta dell'astensione in questa situazione si rivela più efficace". Esattamente la tattica-Ruini sperimentata in occasione del referendum sulla fecondazione assistita: chiedere ai cattolici di non partecipare al voto in modo che, sommando questa percentuale a quella degli 'astenuti fisiologici', sia più agevole superare la soglia del 50% di non votanti. "L'assenza massiccia della gente alle urne", prosegue, sarebbe "un preciso segnale contro l'iniziativa" dei referendari che mina alle fondamenta il sistema scolastico del Trentino e la libertà di educazione delle famiglie. E infatti mons. Bressan seguirà l'indicazione del "comitato per la libertà di educazione": "Ho a cuore la promozione del bene comune e aderisco quindi alla scelta di non partecipare al voto". Il vescovo non voterà, quindi, per il bene della democrazia e la salvaguardia del bene comune. (l. k.)
Adista Notizie n.65 – 2007